Abbiamo incontrato la chef vegana Alessandra Lucentini, volto di Lei tv per il programma 100% Green Kitchen e anima del blog potereaifornelli.it, per parlare di cucina, ecologia e anche di matrimonio.

Fotografia di Silvia Frigoli

Fotografia di Silvia Frigoli

Due gatti neri scrutano da un divano arancione. Questa la prima cosa che noto entrando. La coppia di felini sarà l’unica ‘zona scura’ che noterò durante l’intervista ad Alessandra Lucentini: non solo perché il suo delizioso appartamento di Brescia è variopinto, dai mobili alle pareti fino ai quadri (dipinti, mi spiega Alessandra, da suo padre, artista) ma perché la stessa personalità della chef vegana di Lei tv risulta luminosa ed accogliente, anche quando tratta argomenti difficili. Ma prima di cominciare con l’intervista devo notare un altro aspetto che domina l’ambiente: una fragranza che si diffonde. Alessandra ha preparato i muffin per accompagnare la conversazione. Questa atmosfera rilassata ed amichevole mal si concilia con il frequente pregiudizio sui vegani, etichettati spesso come una setta gastro-fanatica. Almeno in questo caso la scelta alimentare ‘radicale’, la militanza in associazioni ecologiste o l’appartenenza a Veganlab.it, progetto di diffusione dell’etica vegan, non hanno impedito che Alessandra sposasse un onnivoro e neppure che tenesse corsi per nulla ‘disobbedienti’ ma, anzi, vere perle per chi ama il cibo buono, tutto il cibo buono. Anzi, forse l’hanno aiutata anche a creare uno dei blog culinari più amati, un blog dal nome ‘forte’ di cui non posso che chiedere il perché: potereaifornelli.

AL: Ho creato il nome in un momento in cui ero molto battagliera: ho iniziato come attivista di Greenpeace, con le campagne sulla sostenibilità, le scelte etiche, e questa cosa me la sono portata dentro. Poi ho fatto gli studi in Scienze Naturali e mi hanno fatto pensare a come il mondo della cucina possa fare veramente tanto: è il piccolo con un risvolto enorme; è un potere, quello che si esprime attraverso la cucina. Poi, in realtà, Potereaifornelli non significa brandire il mattarello e dire “ora vi meno tutti”, la mia missione non è quella di ‘veganizzare’ il mondo. Propongo ingredienti e ricette per alleggerire un po’ tutto, l’alimentazione, il pianeta, ma diciamo che se, dal nome, il blog può sembrare militante, così non è. Anche nei miei corsi tendo a dare la speranza, ho un approccio morbido, altrimenti ci si affossa e diventa difficile: non si sa più cosa comprare, dove comprare, le persone sono spaventate e diventano fin troppo i controllori della propria filiera alimentare.

“Globalizzazione è anche prendere il buono da tutti i popoli”

CS: Parlando proprio dei corsi: al di là del comunicare le tecniche, cosa vuoi insegnare?
AL: Il rispetto per sé stessi e per la natura, per l’ambiente. Poi, mi preme far passare una cultura alimentare che vada oltre ciò che ci viene ‘propinato’: dietro a una miriade di ingredienti si celano dei medicamenti, degli ‘alleati’ per stare bene, invece tante volte ci si imbottisce di mille integratori; è importante conoscere anche quei due, tre ingredienti che uno dice “che nome è??” ma rappresentano una cultura millenaria, dei saperi antichi. Adesso piano piano stanno arrivando, globalizzazione è anche prendere il buono da tutti i popoli che ne sanno, perché è una scienza quella dell’alimentarsi. Ecco, il mio obbiettivo è condividere questo modo di rispettarsi scegliendo degli ingredienti di qualità.

CS: Tu vivi a Brescia: quanto, all’interno di una città, è semplice riconoscere, cercare, trovare, questi ingredienti?
AL: In una città è molto più facile, in genere…

CS: Ah sì?
AL: Sì, perché c’è tanta offerta ed è varia. Certo, la filiera è più lunga, bisogna rivolgersi al negozio bio o a realtà come Cortobio, che fanno consegne a domicilio. Ma tra città e città ci sono differenze: se confrontiamo per esempio Mantova e Brescia vediamo che a Brescia c’è molto di più però a Mantova, più piccola, riesci ad arrivare più facilmente al contadino. Di contro, ovviamente, siamo in un ambiente inquinato, quindi quando si tratta di kilometro zero dici: “kilometro zero, ma sotto l’inceneritore!”, si può avere il campo bio sulla falda della Caffaro. Ma, come dicevo, si hanno tante altre possibilità. Mio padre abita nelle Marche, che sono una specie di ‘paesone’, e c’è l’illusione, a volte, che i prodotti lì siano più sani; in realtà c’è tanta chimica, c’è il biologico, certo, però sei anche circondato da campi coperti di anticrittogamici, e magari il negozio bio più vicino è a sessanta kilometri. Inoltre in una grande città, in condizioni più critiche, magari una persona ha più voglia di mangiare in modo sano e cerca delle soluzioni, ha una sensibilità maggiore.

CS: Però tu hai vissuto la tua infanzia in campagna…
AL: A contatto con la natura non senti che può esserci della chimica, vedi un ambiente che è bello, campi a perdita d’occhio. Anni fa, poi, era forse anche un ambiente più vario: certo, gli anni Ottanta erano già quelli della Rivoluzione Verde, del “diamoci dentro con la chimica”, delle pannocchie mature in tre ore, ma i miei ricordi sono quelli di una casa lontana da tutto, con un grande giardino, cani, gatti, tanti animali, e tutto questo mi è rimasto.

CS: Com’è avvenuto il passaggio all’alimentazione vegana?
AL: È stato un momento di grande sofferenza: è una scelta che fai per motivi etici, io avevo maturato un peso. Spesso la scelta vegan deriva da questo, non è una scelta per moda, o meglio, può esserlo, ma in realtà ha basi solidissime, nasconde sentimenti di empatia nei confronti della sofferenza animale, sentimenti infantili in qualche modo, perché antichi, profondi. All’inizio ti affranchi dall’utilizzo di una serie di alimenti, ma insieme non riesci a comprendere la scelta degli altri e ti isoli tanto, fai gruppo con quelli che la pensano come te. Però poi bisogna portare avanti questa scelta senza rabbia, perché altrimenti si incorre in conseguenze negative e in tanta incomprensione. Poi ho trovato questa voglia di fare che è stata la svolta, ho capito di poter dare un contributo senza voler cambiare le persone: mangiavi dieci bistecche? ok, ne mangi nove, va bene per te, va bene per tutti gli altri.

“Non si può salire in cattedra e dire agli altri che stanno sbagliando”

CS: Non hai mai la sensazione che sia troppo dura, in una società del genere?
AL: Tante volte sì, ho questa sensazione. A volte ti senti additato come un ‘diverso’ che rompe le palle, diciamocelo! Poi, in realtà, a casa mia, i miei non sono vegani, fanno cose vegetariane per venirmi incontro e io le mangio per la convivialità, per la vicinanza: mi sento tranquillissima a mangiare latticini, uova e derivati. Mia suocera fa le lasagne e mi dice “sono vegane, eh” e poi le riempie di besciamella e grana, le mangio e dico “fantastiche”! Non si può ‘violentare’ la gente: un giorno proverà a fare la besciamella con il latte d’avena, ma deve essere graduale. E poi non posso rifiutare il cibo che mi offri: già hai fatto tanto, le lasagne al ragù non le hai fatte, hai fatto le zucchine ripiene di groviera o con la fontina, che sono strabuone…e io le mangio! Non si può salire in cattedra e dire agli altri che stanno sbagliando, mai.

CS: Il perché degli studi in Scienze Naturali è evidente, ma cosa volevi fare ‘da grande’?
AL: Da grande volevo fare la ricercatrice di delfini: sono appena stata in viaggio di nozze e siamo andati in Spagna e Portogallo, siamo usciti con le barche per vederli e ho pianto perché mi commuovono tantissimo, sono animali che mi emozionano. Ho scelto l’università con l’idea di fare questo, ma l’ho fatta a Milano dove c’è un sacco di geologia e piante e dicevo “io voglio gli animali!”, allora li ho cercati attraverso altre vie e ho fatto tantissime esperienze. La carriera universitaria non mi è mai interessata e allora mi sono specializzata in ecologia delle acque dolci, perché comunque sono in Lombardia, però resta questo amore immenso: forse nella vita precedente ero un delfino, o lo sarò nella prossima vita, perché ogni volta mi sento a casa, con loro!

Fotografia di Silvia Frigoli

Fotografia di Silvia Frigoli

CS: Come sei arrivata a collaborare con Veganlab.it?
AL: Avevo il mio blog da poco e organizzavo dei mini corsi perché io ero già in contatto con alcune donne nel mondo della cucina tramite il Bimby, mi piaceva molto l’idea di incontrare altre persone e di esprimermi un po’. Ero nella mailing list di Veganlab.it e un giorno mi dico “adesso gli scrivo e gli chiedo se vogliono ampliare il loro organico a Brescia”, apro la posta e c’è una mail su un concorso proprio per collaborare, era destino! Dicevano di mandare il proprio curriculum in ambito cucina, e il mio, al massimo, era “le mie torte piacciono molto”, non avevo tanta esperienza! Ma mi hanno fatto un’audizione: dovevo portare una ricetta e, in quindici minuti, spiegarla alla giuria, tipo Masterchef. Così mi hanno confermata per i corsi in zona Brescia e Milano, e con il tempo ho cominciato a crearmi un arsenale, un kit, a farmi un’idea su come organizzare: è molto bello creare corsi, fare i ricettari, le dispense…

CS: Come li crei?
AL: Li creo sulla base di quello che piace a me e che mangerei. Non mi interessa una cucina gourmet: la fantasia non manca alle persone, quando uno vuole la scenografia la crea senza avere fatto corsi. Quello che serve è mettere insieme nuovi ingredienti con ricette replicabili e magari dare qualche consiglio sugli ingredienti, su come cucinare i funghi, le alghe, sul fatto che il sale dev’essere integrale, che bisogna buttare via le cose bianche. Cerco di insegnare gli elementi base cercando di essere vicina a chi cucina.

CS: Hai parlato di provino, hai fatto il paragone con Masterchef…sorge spontanea la domanda sulla televisione: come sei entrata a Lei tv?
AL: È nato tutto da un’idea con una mia amica, Silvia, che lavora per RCS ed è vegetariana: ha cominciato a pungolare quelli del canale con l’idea del programma. Inizialmente c’era la totale indifferenza, ci abbiamo messo un anno per convincerli, poi mi ha detto “finalmente ti vogliono conoscere”, abbiamo girato una puntata pilota e il programma è partito. Io ero una neofita totale (e lo rimango!). È stata un’avventura molto bella che purtroppo si è chiusa: la redazione è stata assorbita, un vero peccato perché il programma era davvero carino e aveva successo, i fan scrivevano…

CS: Ti piacerebbe ritornare in tv?
AL: Guarda, non lo so! Non l’ho vissuta con la speranza di continuare, ma come un’esperienza, un “sarà quel che sarà”. Però era un bel mondo, mi è piaciuto molto, facevamo di quelle risate con gli altri, era proprio divertente!

“Sarebbe bello dare la possibilità alla gente di scegliere”

CS: Oggi c’è un mare di programmi televisivi sulla cucina…
AL: …da nausea! Adesso se chiedi ai bambini che mestiere vogliono fare, rispondono “lo chef”: fino a cinque anni fa, a nessuno saltava in mente! Mi stupisco ogni volta che lo sento, anche se, guardando la televisione, capisco perché. Si tratta anche di un’attenzione a volte malata nei confronti del cibo. Poi, dipende dai contenuti: c’è anche un Marco Bianchi che porta tanti bei messaggi, è ‘arrivato’ tantissimo ed è certamente da seguire. Però, nella maggior parte, si tratta di format dedicati alla cucina classica, l’apoteosi del burro eccetera: un contenuto bello, divertente, però, se vogliamo fare un po’ di cultura attraverso la televisione, sarebbe bello dare la possibilità alla gente di scegliere. A volte vedo un tizio americano che fa la torta di otto piani con un chilo di zucchero per centimetro quadrato, sarebbe bello ci fosse anche qualcosa di più edificante, ovviamente senza far diventare il cibo un’ossessione, un ideale di perfezione…

CS: C’è proprio una tendenza a proporre il cibo come perfezione estetica…
AL: Il pericolo di tanti corsi, in ambiente vegan, è proprio la cucina gourmet: bellissima, effetti stupendi. Però c’è dietro l’idea che vegano, crudista, sia sano a prescindere: in realtà puoi ammazzarti in mille modi! E poi, a volte passano dei concetti sbagliati, ognuno dice la sua: bisogna trovare una linea comune. Spesso la gente è davvero sballottata: “ma allora sono meglio i crudisti? I fruttariani? Quelli che mangiano il pesce?”. È anche traumatico per chi decide di farsi del bene, non sa cosa fare, ti guarda come dire “posso…?!”. C’è molta confusione. E spesso non aiutano, tutti ‘sti format televisivi: ho visto cucinare il Mars fritto, uno dice “se l’ha detto la tv assaggiamolo, il Mars impanato!”. Certo, magari con la birretta, la sera, mentre guardi la partita…poi, tutti all’ospedale!! Dopo questa ho detto: “basta, butto la televisione!”. La tv rappresenta un potere, è un po’ come se le aprissi le porte di casa e ti dicesse come mangiare. Infondo, in quattro e quattr’otto sfami la famiglia con la pasta sfoglia fatta in casa, tutti i giorni, perché no? Purtroppo, però, i risvolti di salute e ambiente sono quelli che sono…

CS: Sono recentissime le notizie sul fatto che le carni rosse sono state dichiarate ufficialmente cancerogene. Come hai reagito, sentendole?
AL: Con indifferenza, devo essere sincera. È come dire improvvisamente che il fumo fa male: ormai sono cose di dominio pubblico, si sa che mangiare tutti i giorni salsicce e bistecche fa male. Certo, dovrebbe essere più di dominio pubblico, ma far venire l’angoscia alla gente in questo modo non è il modo per comunicare, e poi ci sono migliaia di posti di lavoro in ballo, si spaventano i macellai che dicono “adesso cosa facciamo, i coltivatori?!”. A monte deve esserci una volontà politica, l’incentivare un certo tipo di agricoltura, di allevamento, invece di gettare la gente nel panico. E intanto resta la solita distribuzione, il supermercato: la roba veloce, il prosciutto, il formaggio, la bistecchina, il cordon bleu panato. Il pane bianco, sia quello del supermercato che quello del panettiere di fiducia, è pieno di strutto: il pane, che è una cosa che mangio tutti i giorni, è diventato ormai una golosità, talmente fragrante, talmente buono…glutine più strutto! Se chiedi quello senza glutine e strutto ti ritrovi due panini tristi nascosti in un angolo! Si tratta della politica che non c’è, che non sostiene un’alimentazione di base: non dovrebbe essere compito del singolo istruirsi sul cibo. A me del cibo potrebbe non fregare nulla, ma ho delegato dei governanti che dovrebbero fare corrette scelte di base, invece questo non avviene e mangiamo delle schifezze che sono alla portata di tutti: perché il pane integrale del fornaio è di cemento?! Ci sono delle frodi alimentari per cui lo Stato è veramente consenziente, salvo, ogni tanto, lanciare l’allarme sugli alimenti cancerogeni: dovrebbe fare delle campagne sulla necessità di variare alimentazione, invece. Con la paura non si arriva a nulla: diventa privazione, diventa tristezza, diventa incomprensione!

CS: Parliamo della ‘tua’ cucina: ovviamente ciò che ti rende più riconoscibile è l’essere vegana, ma come cucini, nel quotidiano?
AL: Io cucino in modo semplice: mi piacciono molto i cereali e le verdure abbinati in mille modi e adoro le spezie, un piatto cambia faccia con una spezia piuttosto che l’altra; c’è anche la contaminazione di vari influssi e la macrobiotica mi ha dato tanto, anche per via di corsi che sto seguendo ora a Milano. Inoltre mi fido molto dei cibi conosciuti nel tempo, antichi, come la zuppa di miso, un concentrato di benessere. Poi, io ho un marito che è onnivoro! A casa è vegano per forza, a meno che non si prenda altre cose, oppure gliele compro io se me lo chiede, non ho resistenze di questo tipo: lui mantiene la sua convinzione, ovvero che ci vuole un po’ di tutto, io lo rispetto e ci convivo serenamente, ci siamo accettati reciprocamente. Però lui all’inizio non poteva vedermi, l’idea di frequentare una vegana secondo me lo faceva svegliare con i sudori freddi alle due di notte dicendo “sto uscendo con una vegana, noo!”. Per la prima cena insieme avevo cucinato una giornata intera, avevo fatto una torta complicatissima, non sapevo più come venirne fuori…e lui l’ha mangiata con un’indifferenza totale! I primi tempi sono stati molto ostici. Adesso invece le cose che faccio io, per lui sono le più buone del mondo!

Fotografia di Silvia Frigoli

Fotografia di Silvia Frigoli

CS: Ti sei appena sposata: com’era il menu del matrimonio?
AL: Il menu del matrimonio era vegetariano più un antipasto di pesce e un secondo di pesce, non tanto perché dovevo mettere a tacere il marito onnivoro ma perché vedevo negli occhi degli invitati, a volte, il terrore! Di vegane c’eravamo io e mia cugina su centoventicinque, centotrenta persone, poi quattro vegetariani più una zia che non mangia il pesce. Non volevo la responsabilità degli invitati perplessi, e poi abbiamo scelto un posto bellissimo ma con cucina tradizionale…allora io ho cucinato il secondo per i vegetariani e ho mantenuto una via di mezzo tra me e mio marito, un pranzo vegetariano non sarebbe stato il suo e un pranzo carnivoro non sarebbe stato il mio, quindi, con un pesce pescato e non allevato (poraccio pure lui!) ho mediato. Ma cucinare io il secondo vegetariano, con quel chiletto di miglio preparato il giorno prima, non ti dico, un trauma!

CS: E ora? Intendi tornare a vivere in campagna, andare al mare con i delfini…?
AL: Quando torni da un viaggio di nozze in terre di mare un po’ ci pensi…ma se sono qui c’è un motivo: io ho fuggito tutta la vita da Brescia, l’ho sempre rinnegata, e poi ho sposato un bresciano doc! Quindi, alla fine, la vita mi dice “tu devi restare in questa città” perché quello che posso fare è qua, è dare un contributo qua. Per cui mi tengo i pcb, l’inceneritore, senza lamentarmi: faccio il mio lavoro e non rompo! Certo, c’è la voglia, a volte, di una qualità di vita migliore, però, ti dirò, con questo grande amore l’ho scoperta, ha delle cose bellissime e ora sono felice di viverci!

 

Anna Giunchi

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