Un’identità del territorio del Montenetto

Talvolta ci si rende conto che si conosce ben poco le realtà, in questo caso vitivinicole, che ci stanno attorno, magari proprio a pochi chilometri da casa. Non sto parlando delle aziende franciacortine naturalmente, parlo invece delle altre denominazioni della provincia di Brescia, di certo meno conosciute e diffuse.

Alcune di queste sono molto storiche, si pensi alla Botticino Doc, una delle primissime denominazioni di origine controllata nate in Italia (correva l’anno 1968) e altre, seppur più giovani, sono comunque specchio di piccoli fazzoletti di terra della vasta provincia: tra queste ultime la Doc Capriano del Colle può esserne certamente un esempio.

Capriano del Colle e Davide Lazzari

Proprio di questa denominazione e zona scrivo oggi e lo faccio attraverso le parole di uno dei produttori che meglio stanno facendo per il proprio territorio, Davide Lazzari dell’omonima cantina. Se si parla di Lazzari si sfonda un po’ una porta aperta perché questo intraprendente ragazzo è molto attivo e fa spesso parlare di sé non solo per i suoi vini ma anche per lo spirito che lo spinge a valorizzare e promuovere il suo territorio, la zona del Montenetto, il vino che ne nasce.

CS- Riusciresti a descrivere la filosofia della tua azienda in tre parole?

DL- No [NdA]. Io considero il Capriano del Colle DOC e Montenetto quasi la stessa cosa. Rispettivamente sarebbero IL Franciacorta e LA Franciacorta.

L’approccio della mia famiglia, come di altri, è di caratterizzazione dei vini sulla base delle terre che coltiviamo col fine di trovare una identità del territorio del Montenetto, ancora oggi difficile da percepire anche da parte dei produttori stessi, noi inclusi. Stiamo lavorando non solo sugli aspetti di terra, ma anche su quelli varietali.

Si parte quindi dalla necessità di utilizzare esclusivamente l’uva autoprodotta e quindi di caratterizzare la stessa. Per fare ciò abbiamo svolto studi sulla microbiodiversità dei terreni con l’obiettivo di sviluppare tecniche per incentivarla. Abbiamo lavorato quindi sulla riduzione progressiva degli impatti in vigna (anche attraverso l’agricoltura biologica: saremo certificati bio dall’annata 2016) con questo fine ultimo. Diciamo quindi che l’abbattimento degli impatti per noi non ha solo il fine di sollevarci eticamente, ma soprattutto di principale supporto alla caratterizzazione delle uve e in seguito dei vini.

Tutto però viene approcciato assolutamente in ottica razionale ed empirica (ogni tanto accenno anche all’aggettivo ateo quando il pubblico lo permette, perché non accettiamo nessun “credo” in viticoltura): ragionato, provato e, se funziona, esteso a tutta la produzione. Sia che si tratti di agronomia che di enologia.

Nel corso degli anni poi abbiamo effettuato ricerche sulle varietà locali. Recuperando, circa 15 anni fa, due cloni di Marzemino con l’Università di Milano e ora siamo alle battute conclusive di una ricerca indipendente per il recupero di una varietà autoctona presente solo sul Montenetto, ma per ora non si può dire altro per non rovinare le sorprese.

CS- Ultimamente si legge molto di te, riesci a catturare l’attenzione e a far parlare della piccola Doc di Capriano, qual è il tuo punto di forza?

DL- Non ne ho la più pallida idea ti dirò. Forse perché siamo una famiglia abbastanza rurale da attrarre l’interesse degli appassionati di piccoli vignaioli. Forse è il mio altalenare tra fierezza e autoironia sull’appartenenza a un territorio così “borderline”. Forse perché a qualcuno faccio un po’ tenerezza vedendomi credere così disperatamente che la mia terra dimenticata da Dio possa diventare nota nel panorama enologico un giorno. Forse alcuni assaggiando i vini si rendono conto delle potenzialità e ne parlano. Non saprei.

CS- Tra tutti i vini che produci, quale senti più rappresentativo della tua vigna? Do per scontato che lo siano tutti ma ti chiedo di fare una scelta.

DL- Ecco, questa è la solita domanda impossibile per un produttore. Ne scelgo 3 sui 6 prodotti, ognuno rappresenta una delle tre generazioni in cantina. Il Capriano del Colle DOC bianco “Fausto” che è l’amore del mio omonimo nonno. Il Capriano del Colle DOC rosso riserva “Riserva degli Angeli” la cui produzione è iniziata con mio papà e mio zio e che oggi è il vino cult dell’azienda (ed esaurito fino a novembre 2017 per chi non l’ha prenotato). Il Capriano del Colle DOC bianco superiore “Bastian Contrario”, primo vino che ho avuto l’onore di ideare personalmente nel 2010 (poi la codifica tecnica l’hanno fatta altri per fortuna).

CS- Scoprire un vino è scoprire il territorio nel quale nasce. Qual è la situazione ospitalità a Capriano?

DL- Ospitalità. Purtroppo sul territorio del Montenetto mancano alcuni servizi essenziali (quasi inesistenti i B&B e gli agriturismi per le camere) e dei luoghi gastronomici cult (l’ “eno” fatica a emergere senza “gastronomia”), qualcosa si muove ma resta tutto limitato al locale.

Dal punto di vista dell’enoturismo penso di essere l’unico ad aver testato e stretto accordi con Tour Operator esteri (ad oggi Regno Unito, Danimarca e Polonia). La ritengo personalmente una forma di reddito molto interessante per il piccolo vignaiolo. Bastano qualche ora di lavoro, un paio di bottiglie e qualche altro prodotto locale per ricevere in cambio un corrispettivo (di gran lunga maggiore rispetto al costo delle bottiglie utilizzate) per la degustazione, si vende qualche bottiglia e dopo qualche tempo ci sono dei clienti che continuano a richiedere il vino anche dall’estero, nonché a promuoverlo nella propria cerchia fino ad arrivare all’orecchio di un importatore.

Ecco forse dove siamo fortunati: le persone che ci visitano si affezionano parecchio alla nostra famiglia, tanto da diventare promotori dei nostri vini.

Arianna Vianelli
Terra Uomo Cielo
Una franciacortina in cucina

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