Flavio Esposito: cocktail e food nello shaker – Abbiamo intervistato per voi il noto barman Flavio Esposito, scoprendo quanta storia e quanta tradizione ci sono in ogni suo cocktail e scoprendo quanto la cucina influisce sulle sue realizzazioni.

Flavio Esposito: cocktail e food nello shaker

CS: Flavio, mi spieghi esattamente cosa ti proponi di fare attraverso il tuo progetto?
FE: Servire l’ospite, sia con la mia esperienza maturata nel mondo della ristorazione che come bartending, la base della parte culinaria sommata a quella della miscelazione si uniscono in un’unica figura, quella del barchef.
Entrambe prevedono l’unione di più ingredienti (in cucina si tratta di alimenti, nei cocktail si parla di liquidi), ecco che l’insieme delle due tecniche produce un ulteriore insieme di sapori, che è la base del mio progetto.

CS: Hai cominciato dalla cucina o dal bancone di un locale?
FE: Il mio esordio, avviene come cameriere di sala e questa esperienza mi ha formato nel comprendere le dinamiche del servizio al cliente, ho fatto un’ottima gavetta, grazie anche alle persone che ho incontrato e, poi, ho iniziato a lavorare al bar, mentre, nel frattempo, lavoravo gratuitamente in alcune cucine di ristorante, formandomi con mansioni di “basso profilo consentendomi di fare molta esperienza. Il passaggio da cameriere a bartender è avvenuto anche grazie a mio zio che, da ragazzino, mi portava al bar e io ne sono rimasto affascinato. A tutto questo ha contribuito tutto il mio ambiente familiare, che era orientato verso il mondo della ristorazione.

CS: Abbiamo parlato del vero inizio della tua avventura, so che una delle tue occupazioni consiste nel tenere corsi di formazione la domanda che ne consegue è: qual è la tua formazione professionale?
FE: Ho iniziato frequentando l’istituto alberghiero, che ritengo sia una formazione di base importante, mi sono specializzato all’AIBES (Associazione Italiana Barman E Sostenitori), la più importante del settore, per poi frequentare Master e corsi di specializzazione in altri contesti.

CS: Ripartendo da Napoli e dalle tue prime esperienze e, visto che adesso hai base a Milano, ma sei sempre in movimento, quanto è importante il viaggio (non solo fisico), per chi vuole proporsi in maniera diversa alla clientela?
FE: Non credo sia solo importante, ma essenziale, quando mi chiedono se sono a Milano rispondo sempre che “sono di passaggio” (giocando alla Troisi su questo aspetto). Il viaggio ti fa conoscere nuove culture, nuovi gusti, nuovi approcci e, tutto questo, ti consente di divulgare ma anche di apprendere cose diverse, permettendoti una crescita professionale difficilmente raggiungibile in altro modo. Invito i giovani a viaggiare e iniziare a farlo dall’Italia, per avere una formazione completa, anche della conoscenza, delle origini e delle tradizioni che il nostro paese offre, per poi confrontarlo con l’estero e le varie scuole di pensiero che cercano una costante innovazione nel nostro settore. In Italia, credo che andrebbe rivalutata la cucina futurista, che è un ottimo punto di partenza per un approccio diverso del mondo della ristorazione.

CS: E, nei tuoi viaggi, quali sono stati quelli che hanno segnato il tuo percorso professionale?
FE: Non ho ancora deciso di fare esperienze di lungo periodo all’estero ma, nei miei numerosi viaggi, spesso legati a corsi e concorsi internazionali, quello che mi ha colpito di più è stato sicuramente l’ultimo campionato europeo “Rose’s Cup”, tenutosi a Copenaghen a maggio di quest’anno. In questa occasione [due ori e quattro argenti per la nostra squadra ndr] ho avuto la netta sensazione che dovremmo cercare di dare una svolta alla visione nazionale del nostro settore. Se è vero che l’Italia ha molto da insegnare, è anche vero che dovremmo cogliere segnali di rinnovamento che arrivano da realtà insospettabili. Per esempio, un Paese che mi ha particolarmente colpito è l’Egitto, dove ho avuto modo di apprendere tradizioni antiche che possono essere, al contempo, innovative, sia per l’utilizzo di spezie locali sia per il loro modo di erogare il servizio all’ospite.
Londra, New York e Parigi sono mete tradizionali, che vanno vissute, io penso che oggi si debba puntare anche su Australia, Nuova Zelanda e Svizzera, per avere una visione diversa e moderna, che possa essere di supporto alle nostre tradizioni e tecniche.

CS: Se ti chiedessi di definirti in un piatto e in un cocktail, quale mi indicheresti e perché?
FE: Sicuramente, ti indicherei un piatto della tradizione che ritengo sia un punto fermo della nostra professione, un piatto che faccio bene anche se non è il mio preferito: lo spaghetto pomodoro e basilico “sciuè sciuè”, oppure un altro classico delle mie origini, “la siciliana” con rigatoni, melanzana fritta, pomodorini, formaggio e mozzarella, o provola. Mi rivedo molto nel primo piatto, sia per il gusto sia per la tradizione napoletana che come dimostrazione che anche un primo semplice e veloce, può essere buono. Per quanto riguarda i cocktail, ti confesso che io amo degustare più che bere, per questo mi risulta particolarmente difficile indicartene uno ma, se insisti, ti indico il margarita, per la componente agrumata dell’arancia, per la parte storica del prodotto distillato di base, e anche per la parte di contrasto visto che io amo molto la contrapposizione dolce/salato.

CS: Ritrovo nella tua scelta di cocktail, quell’agrume che ho percepito in una tua birra, si tratta delle tue origini e della costiera amalfitana o una scoperta successiva?
FE: Gli agrumi mi hanno accompagnato fin da piccolo (come il sale legato al mare), mi ricordo che il limone lo mettevo dappertutto, attualmente rivisito spesso i piatti, inserendoli, per esempio faccio una carbonara agli agrumi. Il limone mi ha accompagnato in tutto il mio percorso, fa parte del mio dna e non l’ho mai abbandonato.

CS: Uomo vulcanico, con mille progetti nel cassetto, me ne illustri qualcuno?
FE: Mi piace molto divulgare, forse sbagliando di inesperienza in passato, ho un progetto di un libro, in cui illustrare le nozioni che ho sviluppato in questi anni, a partire dal far conoscere al cliente, che io amo definire ospite, quello che gli sarà servito, per arrivare all’abbinamento con un cocktail, secondo delle regole precise, un progetto che porto avanti da oltre otto anni e che sta per vedere la nascita. Il secondo progetto a cui aspiro, prevede che il mio locale (Boutique 12, a Milano), sia il capostipite di una serie di altri bistrot sul tema “contrasto” e “tradizione e innovazione”, che richiamino la tradizione italiana del cibo abbinato a prodotti quasi dimenticati, come il vermouth, per esempio.

CS: Mi indichi un tuo pregio e un tuo difetto?
FE: Sono troppo istintivo, a volte va bene, ma non è sempre così e so che dovrei cercare di cambiare. Credo che il mio pregio consista nell’essere umile, anche se lo nascondo attraverso il mio modo di fare e, forse, anche questo aspetto è legato alle mie origini.

CS: Quanto incide la tua famiglia (vedo spesso fotografie d’insieme sulla tua pagina Facebook) nella tua vita professionale?
FE: Molto, ritengo che la famiglia sia importante, al punto che quando mi fu proposto di trasferirmi a Dubai, per lavoro, rinunciai perché mia moglie era incinta, e decisi di aprire un locale in Italia anziché andare all’estero. La forza per affrontare il mio lavoro mi deriva dalla famiglia e dalla mia compagna che, facendo il mio stesso lavoro, mi aiuta e mi consiglia spesso anche se non ama apparire, i miei figli non solo sono lo stimolo per realizzare i progetti, ma ho anche imparato a giocare con loro, con i profumi e gli strumenti che fanno parte del mio lavoro quotidiano.

 

Fausto Morabito

 

Fotografia di Flavio Esposito

 

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