Selvaggina in bagno di vino, esistono molte pratiche qui sono illustrate le migliori.

Nella tradizione gastronomica delle cucine d’Italia, la selvaggina è sempre stata messa ”in bagno di vino” per renderla più appetibile per i palati esigenti.

E’ anche vero che questa pratica gastronomica ha avuto con il passare degli anni molte trasformazioni. Diremo che il termine corretto è “marinare”: oggi si marinano quasi esclusivamente le selvaggine da pelo e da piuma, tecnica che in passato si applicava anche agli animali da cortile, come il coniglio,  così come ad alcuni tagli di carni bovine.

Il valore gastronomico della tecnica ha assunto col passare del tempo una valenza diversa ed è anche diventata una pratica caratterizzante.

In passato, in epoche ormai lontane, marinare la carne (in epoca pompeiana anche in acqua salata)  serviva prevalentemente per correggerne la qualità organolettica, cioè veniva così trattata per migliorarne il sapore, e per renderla meglio commestibile.

Bisognerà aspettare Marie Antoine  Careme, che nel suo volume n° 3 (dei cinque scritti) di Art de la cuisine au XIX siècle (edito per la prima volta nel 1833), codificò alcune procedure  per: “marinare carni scure di piccola e grossa pezzatura. L’obiettivo era, ed è a tutt’oggi quello di “macerare in un liquido aromatico il pezzo di carne scelto, sia per intenerire la carne ma soprattutto per aromatizzarne la polpa”.

Diremo che oggi si marina di tutto, e in quasi tutte le cucina del resto del mondo troviamo infatti alimenti marinati inseriti nei menu: dall’antipasto alla frutta. Ogni singolo alimento è trattato però diversamente.

Non dobbiamo dimenticare che tutto dipende dal tempo di permanenza dell’alimento nella marinata, e dalla soluzione scelta per la stessa.

Ma tralasciando gli aspetti culturali e generali della tecnica citata, desidero soffermarmi sugli aspetti prettamente tecnico-ristorativi, delle pratiche per marinare la selvaggina.

Diremo che i fattori da tener in considerazione per il trattamento di una carne di selvaggina nella sua marinata sono i seguenti:

a) Tipologia di carne; b) Pezzatura; c) Tipologia del liquido; d) Miscela di spezie-ortaggi;

e) Tempo di permanenza; f) Modalità di cottura definita.

Potrei esemplificare così.

La carne di selvaggina va manipolata diversamente se si tratta di selvaggina da piuma o da pelo; deve essere considerato il suo peso e sua pezzatura, (cioè se la carne è da marinare con carcassa o meno, oppure solo la polpa intera o a pezzi); che il liquido da impiegare, in base alla sua acidità, in unica o più soluzioni; la ricettazione per la miscela deve tenere conto della persistenza dei profumi e degli aromi degli alimenti caratterizzanti; saper il tempo utile affinché la marinata sia efficace o meno; saper da subito come sarà trasformata.

Gli chef di un tempo conoscevano benissimo questi parametri, e nei ricettari personali, manoscritti di grande patrimonio, comparivano marinate “ad hoc”: essi modificavano alcuni ingredienti in base alla specie e al taglio di carne trattata.

In generale potremmo dire che in inverno ad esempio, per le grosse pezzature, il trattamento può durare anche 5-6 giorni, in estate invece il tempo è di 1-3 giorni.  Ma alcune pezzature, quelle piccole ad esempio sono sufficienti 1-6 ore.  (sempre mantenute in luoghi freschi, cella frigo +10°C, mai oltre).

Nel panorama delle marinate, troviamo la “marinata cotta”, la “marinata cruda”, la “marinata istantanea”.

Nella marinata cotta tutti gli ingredienti vengono fatti cuocere e, una volta raffreddati, vengono versati sull’alimento da marinare. La marinata cruda è invece impiegata direttamente sul pezzo di carne. Per la marinata istantanea, riferita solitamente e carni tagliate a fette e a pesci in genere, il sistema è diretto, solo che la componente acidula sarà più persistente.

Questa di seguito un elenco degli alimenti utili alla composizione di una marinata tipo, che ciascun lettore, chef di cucina, potrà caratterizzare in base alle proprie esigenze, scegliendo la miscela più adeguata alla selvaggina da cucinare. Per gli ortaggi, il taglio è direttamente proporzionato al tempo di permanenza in soluzione; più giorni, più grande. Per le spezie, si intendono impiegate leggermente schiacciate.

– Vino bianco: con carote, rosmarino, pepe in grani e sale marino.

– Vino rosso: sedano, salvia, bacche di ginepro e distillati

– Aceto e acqua: cipolla, alloro, anice stellato e vino passito.

– Olio e succo d’agrumi: scalogno (o aglio), timo (o prezzemolo) e chiodi di garofano (ma anche cannella in stecca, vaniglia in baccello e coriandolo)

Marco Valletta Chef

a cura di Guido De Togni

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