Cosa significa essere cuochi? Marco Martini, executive chef all’open Colonna a Roma, ci racconta cosa significa essere un cuoco, uno chef in un ristorante di spicco e come la figura del cuoco si sta evolvendo negli ultimi anni.

Cosa significa lavorare all’interno di una cucina?
La cucina è un lavoro di gruppo, da soli si può fare ben poco. La brigata è la brigata, tutti i ragazzi sanno quello che devono fare. Non si fanno riunioni: ogni mattina si distribuiscono i compiti e tutti cucinano.
Quando devi preparare il gourmet ci sono tutte le partite: la partita dei primi, degli antipasti, la partita dei secondi. Poi c’è la pasticceria, che è un mondo a sé. Io cucino come gli altri dodici ragazzi che stanno sotto di me. Tutti cuciniamo.

L'Open Colonna di Roma

I ragazzi dello stage cominciano a vedere, gli si mostrano i primi piatti, come pulire e tagliare le verdure; se poi arrivano gli agnelli o i maiali, questi vengono battuti, multi-sezionati e messi sotto vuoto. Gli stagisti stanno al confezionamento perché non puoi metterli subito alle padelle.
Poi ci sono quelli ambiziosi, che si fanno spazio e che meritano di avere compiti più di responsabilità. Chi merita si vede.

La cucina è dura, non si scherza.
La verità è che chi ha bisogno impara, chi non ha bisogno invece fa i corsi di cucina, fa spendere i soldi ai genitori, poi arriva in ristorante e chiede di andare a casa prima, di stare a casa un giorno…la cucina però è dura, devi lavorare tutte le feste, la tua ragazza per starti dietro si deve prendere i tranquillanti.
Un tempo di corsi di cucina non ce ne erano. Adesso ce ne sono a migliaia, dai 3mila ai 15mila euro. Ormai questi ragazzi fanno il corso e si credono cuochi, ma non è così che funziona. Il cuoco fa una vita stressante, per cui la cucina deve essere una passione.

E all’Open Colonna?
All’Open Colonna siamo un gruppo di giovani e dobbiamo sottostare a regole precise: barba sempre fatta, divisa sempre precisa, niente orecchini o altro. Su questo Antonello Colonna è come un sergente militare. Di certo dalla Clerici o da Ramsey queste cose non si vedono e non si conoscono.

Lavorare all’Open Colonna è differente ed è ancora più duro.

Devi starci col cervello, c’è tanta responsabilità, lavori in un posto che è una grande azienda, devi rappresentare il nome di uno degli chef più conosciuti in Italia e a livello internazionale.

Io devo seguire le idee dello chef e portarle avanti: devo far parsimonia, essere leader, tenere unita la brigata, devo capire i ragazzi quando hanno un problema e a fargli da fratello più grande.

In questo mi ha molto aiutato giocare a rugby: ero capitano della squadra e quindi abituato a legare con la gente, a fare squadra, a lavorare in team. Dopo quattro giorni che ero arrivato da Labico già scherzavo con tutti, organizzavo e gestivo il gruppo: questa è un parte molto importante del lavoro di cuoco.

In altri ambienti ristorativi è differente?
Beh, certo. Per esempio ci sono le cucine degli alberghi dove c’è lo chef che si ubriaca, che resta in malattia, che non lavora neanche a una festa. Tu fai sei ore, fai un piatto, poi arriva un altro che lo impiatta perché tu hai staccato…questo, secondo me, non esiste: la roba mia non la tocca nessuno.

Se io c’ho un piccione me lo pulisco, lo cuocio e lo impiatto io: che faccio… uno lo pulisce, l’altro lo cuoce e l’altro lo impiatta? Ma dove stiamo? O mi devi fare i miracoli o se mi devi fare una bistecca e ci mettono mano quattro persone non ha un senso. Perché? Perché non c’è passione, non c’è dedizione, stai lì parcheggiato a fare lo stretto necessario.

Invece quando lavori in un ristorante, che non è una tavola calda, non è un albergo, non è un ospedale o una cucina di aeroporto, ma lavori in un ristorante, magari con un Stella Michelin, con una storia di cinque generazioni dietro le spalle, come Antonello Colonna, tu devi rispettare una certa etica, una filosofia di pensiero.

Quindi io devo riuscire a trasmette questo a chi è dietro di me: ai ragazzi devo spiegare la filosofia che stanno apprendendo. La filosofia di Colonna è la sua e non un’altra e il giovane cuoco deve capire che sta imparando una particolare filosofia di cucina.

Se poi vogliamo tornare a parlare delle trattorie di Trastevere, le carbonare con la panna o le cacio e pepe con la ricotta, il burro e lo yogurt, quella è un’altra storia; allora pure tu sei cuoco, ti metti là e sei cuoco.

Ma la figura del cuoco è importante, non ci si inventa dall’oggi al domani, magari con un corso da 10 mila euro.

Guido De Togni

 

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