Flavio Esposito parla della birra Alaxia, creata in collaborazione con Birrificio Civale di Alessandria, candidata ai Bar Awards, e della sua esperienza in Germania.

Innovazioni vincenti: birra Alaxia

Non è un caso che Flavio Esposito si definisca un ‘vulcano’. La sua personalità è davvero esplosiva, e lo porta ad ampliare i suoi orizzonti in continuazione. Oggi essere il ‘barchef’ del Boutique 12 di Milano, incarnare il volto di Campari, aver gestito il locale milanese di Dolce & Gabbana, non gli basta: l’argomento del giorno è la candidatura ai Bar Awards di Bargiornale, tra i prodotti più innovativi, di Alaxia, birra da lui stesso creata insieme al Mastro birraio Daniele Cosenza, del rinomato birrificio Civale di Alessandria. Ma non posso fare a meno di parlare anche della sua esperienza all’estero: Flavio si trova a Berlino per il Bar Convent, evento di punta in tema food and beverage. L’esperienza berlinese, per Flavio, si sta rivelando entusiasmante: le aspirazioni internazionali di uno dei mixologist più famosi in Italia sembrano, qui, potersi concretizzare.

FE: A livello sia personale che di lavoro è andata benissimo, è stata un’esperienza importante in un palcoscenico fondamentale come Berlino. In più il Bar Convent è il primo contesto europeo che parla di ristorazione e di bar: è stato importante perché mi ha dato delle speranze e mi ha aperto ancora di più la mente su come concretizzare i miei progetti. Penso di poter fare bene anche in una nazione come la Germania, per di più qui sono molto legati alla nostra ristorazione italiana.

CS: Quali sono le differenze, dal punto di vista della ristorazione e della mixology, tra l’Italia e la Germania?
FE: Noi abbiamo una cultura del bere e del mangiare completamente diversa, non soltanto dalla Germania ma da tutto il mondo. In Germania hanno comunque aggiunto, alla loro, la cultura della ristorazione italiana: noi l’abbiamo creata, loro la stanno portando avanti; loro ci credono, noi la stiamo ‘uccidendo’. Noi italiani all’estero cerchiamo di far commercio e guadagnare, se siamo titolari: gli italiani, ad esempio, negli Stati Uniti non hanno cercato di divulgare i nostri veri prodotti stagionali, il vero spaghetto al pomodoro, la vera pizza (che, per esempio, viene proposta ai frutti di mare a prescindere, anche quando i frutti di mare non sono freschi). Io credo ancora nella ristorazione italiana, ma è difficile difenderla perché noi italiani non cerchiamo di diffondere la nostra vera tradizione; la Germania, invece, se crede ad una cosa la porta avanti: certo, ci fa commercio, ma prima investe su quel prodotto, ci crede, e dopo ci guadagna. Noi creiamo e distruggiamo, gli altri prendono e portano avanti.

CS: Stai terminando un libro sulla tua esperienza: ci puoi raccontare qualcosa?
FE: Qui ho conosciuto una giornalista tedesca che mi ha fatto delle interviste, è stata molto curiosa, mi ha dato anche dei suggerimenti per completarlo. Lei sicuramente crede in me e sarà una buona cosa per il libro. Il libro sarà un manuale visto dal punto di vista del ‘servitore’ della ristorazione: l’idea è di far vivere ai clienti che arrivano nei locali un’esperienza unica, di fargli conoscere il prodotto, in modo che possano riconoscere l’unicità di quell’esperienza e possano diffonderla. Si avrà sicuramente un cliente più esigente, ma con una conoscenza più approfondita, applicabile a vari contesti: ad esempio, i clienti saranno in grado di smascherare i ristoranti che fanno solo commercio e che magari nascondono qualcosa di non trasparente, saranno in grado di riconoscere la vera ristorazione, il vero servizio, la trasparenza, l’ospitalità. Andrà avanti la tradizione, perché, certo, ci sta innovare, ma non dimentichiamo da dove veniamo, per farlo.

CS: Passiamo alla birra Alaxia, nata lavorando col birrificio Civale: come è nata questa collaborazione?
FE: Il birrificio si era da poco unito ai distributori della piazza di Milano ed io, incuriosito, ho provato la loro birra. Colpito dalla qualità sono entrato in contatto con loro ed è nata una collaborazione che prevedeva la vendita a me, che poi vendevo la birra all’ospite. A questo punto abbiamo cominciato a parlare di creare una birra insieme: io avevo già curiosato nell’ambito, avevo cercato di creare birre nel birrificio professionale di un amico, ma niente di che. Partendo sempre dal mio modo di fare vulcanico e ‘pieno di cose’ mi sono detto: collaboriamo! Ho pensato di fare una Weiss, la mia birra preferita: loro sono veri esperti ed io sono un ‘umile servitore’ con un’ottima conoscenza del prodotto madre, così è nata la collaborazione per Alaxia.

CS: Tu sei un barchef partenopeo che ha collaborato con un mastro birraio di Alessandria, Daniele Cosenza: come si sono espresse queste due anime nella birra Alaxia?
FE: È come se una parte fosse il luppolo e l’altra il malto: il luppolo è la parte che dona il sapore ma la base non puoi farla senza cereali, no? Quindi possiamo dire che io sono il luppolo e lui la parte cerealicola!

CS: Nella presentazione della birra si sottolinea “l’inconfondibile stile italiano”: come si esprime questo stile italiano?
FE: Io ho sempre lavorato su prodotti nostri perché quando si parla di food e di beverage per me è importante riconoscere il prodotto madre. Ho quindi puntato sulla parte agrumata, che è quella italiana, anzi è specificamente campana, è la parte che innova e reinterpreta lo stile italiano e che dà un bilanciamento, una parte che è stata inserita proprio per mio volere. Si era pensato alle spezie per reinterpretare la Weiss, ma se si aggiungono le spezie diventa una Blanche, invece io ho voluto mantenere la Weiss tradizionale tedesca: non solo è la prima birra fatta in Germania, ma, poiché la Germania occupò il Monferrato a suo tempo, anche per il Monferrato la Weiss, fu la prima birra. Per questo ho voluto reinterpretarla, unendola a un prodotto agrumato, molto pastoso e molto dolce. È bilanciandola con la parte più acida che creiamo l’Italian style.

Innovazioni vincenti birra Alaxia

CS: Alaxia partecipa ai Bar Awards di Bargiornale nella sezione innovazioni: cosa, questa birra, è particolarmente innovativa?
FE: L’innovazione sta già nella bottiglia, che è fatta da un artista. Poi, al gusto sembra una classica Weiss, ma subito dopo si sente questo gusto tipicamente italiano: ti viene in mente Sorrento, il limone, l’agrume; credo che sia la prima Weiss al mondo con un gusto particolarmente bilanciato. È tradizione reinterpretata verso l’innovazione. Il mio motto è proprio tradizione-innovazione: io parto sempre da questo. Se non c’è questa unione non è il mio campo: per me, se non si innova partendo dalla vera tradizione, non si va da nessuna parte.

CS: Un altro motto del tuo lavoro è riassumibile nell’espressione ‘food and drink experience’, l’unione di drink e cibo. Nello specifico, a che alimenti assoceresti questa birra?
FE: Diciamo che questa birra per me rappresenta già un abbinamento finito, perché ho aggiunto una parte solida: il limone, in purezza, con il luppolo. Comunque è una birra che potrebbe andare a tutto pasto: io la abbinerei benissimo con un’insalata, fatta con un formaggio greco come la feta, pomodorini, olive e cipolle. Si può anche andare oltre: credo che il miglior abbinamento sia un’insalata creata da noi con pollo in pastella di birra (sempre Weiss) e una salsa fatta con honey mustard e succo di agrumi, una salsa che ‘finisce’ la combinazione. Credo che con questo abbinamento la birra ci stia veramente bene. Ho voluto innovare anche in questo mondo, non ho voluto mantenere la tradizione, anche perché allora avrei detto al birrificio Civale “non hai bisogno del mio aiuto!”. Invece con la collaborazione è stata unita la parte tradizionale del mastro birraio con la mia di mixologist.

CS: Parialmo proprio del birrificio: è legato ad una tradizione d’eccellenza, è anche nella Guida Alle Birre d’Italia di Slow Food. In che cosa secondo te il birrificio Civale è diverso dagli altri, speciale, unico?
FE: Principalmente la differenza sta nel fatto che vuole rimanere un birrificio di nicchia: non per pochi, intendiamoci, ma solo per chi vuole. Vuole restare un birrificio artigianale: non per l’ostinazione a restare tale, ma perché loro credono nel lavoro artigianale, lo portano avanti, credono nella materia prima. Non inseguono le vendite, non vogliono diventare la birra italiana più venduta, non vogliono entrare nella grande distribuzione: si accontentano di fare l’uno, il due per cento in più ogni anno, ma con qualità, con soddisfazione. Il birrificio Civale infatti non fa marketing e pubblicità più di tanto, lavora sulla propria immagine mettendo sempre artisti sulle proprie etichette, etichette che raccontano la loro storia. In genere i birrifici perdono questo spirito: partono da un prodotto artigianale, vedono che va bene, vanno verso la grande distribuzione, abbassano il prezzo e la qualità. Agli altri manca la coerenza, questa è una delle differenze principali con il birrificio Civale. E in più al birrificio Civale ogni anno, ogni paio d’anni, rivedono ogni loro birra per capire se sta andando bene, e se non sta più piacendo modificano qualcosa, il gusto, l’approccio, i piccoli dettagli. Mantenendo però sempre l’artigianalità.

CS: Di Daniele Cosenza cosa mi puoi dire?
FE: Quando ho collaborato con lui per creare la birra era evidente è che è uno che conosce tanto, l’intesa con me è nata perché anche Daniele crede molto nella tradizione del prodotto: quando si parlava di aggiungere qualcosa lui lo valutava molto attentamente, a volte lo escludeva fortemente (ad esempio aggiungere la Coca Cola alla birra, non esiste!). Lui crede molto in cose come queste, come ci credo io nell’ambito del bartending: Daniele Cosenza è un ottimo esperto, umile, e che si mette in gioco in prima persona per creare la birra. Io potrei affidargli ad occhi chiusi la creazione di una birra: sarebbe sicuramente spettacolare e fatta con amore.

CS: Perché, secondo te, la birra Alaxia è vincente?
FE: Perché è una birra bilanciata, semplice al palato, che può piacere a tutti. La parte vincente gliela dà proprio questa semplicità, questa tradizione a cui è aggiunta l’innovazione: credo che la parte vincente sia proprio quella. Oltre, ovviamente, all’amore messo nel crearla.

 

Anna Giunchi

 

Fotografie di Flavio Esposito

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