Intervista al Maestro Iginio Massari – Varcare la soglia della Pasticceria Veneto è sempre un rito, il mio sguardo si concentra sulla vetrina, alla ricerca di monoporzioni o torte nuove e il saluto con la Signora Marì è il preludio all’incontro con il Maestro.

Oggi sono qui per un’intervista ma, come sempre, prima ci sediamo al tavolino per scambiare quattro chiacchiere sugli argomenti più disparati e, mentre parliamo, basta vedere quante persone si avvicinano per salutarlo e fargli i complimenti, per comprendere quanto sia popolare e disponibile.

Il passo successivo ci conduce, scendendo le scale, nel sogno di tutti gli appassionati della pasticceria d’Autore, quel laboratorio dove prendono forma le sue creazioni, e qui, dopo qualche fotografia di rito, il Maestro Iginio Massari si sottopone alle domande.

CS: Innovazione e tradizione sono un tuo “cavallo di battaglia”, noto che spesso si privilegia la prima, sottovalutando l’importanza della tradizione, è solo una mia impressione?
IM: È vero, ed è una dato di fatto che l’eccesso di innovazione dimostra che alla base vi sia una perenne insoddisfazione di ciò che si realizza.
L’innovazione è tale solo quando si ottiene un prodotto di successo e la tradizione non rappresenta un vincolo invalicabile ma l’origine e la storia da cui partire, per un’evoluzione che tenga conto dei cambiamenti tecnologici e alimentari.

Io ritengo che l’eccesso di innovazione produca uno scompenso interiore e sia la rappresentazione di una mancanza di equilibrio e soddisfazione personale, un po’ come se rappresentasse una persona che si separa più volte, perché alla ricerca di un compagno ideale, che non troverà mai.
Pensate se, per innovare una carriola, qualcuno decidesse di montarle i freni per migliorarne le prestazioni, ecco questo è quello che accade oggi, a volte, anche in campo alimentare.

CS: I lettori di Cucina Semplicemente sono appassionati di pasticceria ma anche di cucina, oggi come “viaggiano” sulla stessa strada queste due realtà?
IM: Fino a un certo punto viaggiano a braccetto poi, naturalmente, si separano, avendo diversa origine: il dolce è il “cibo premio”, l’altro è, per sua esigenza, il “cibo nutrimento” che ha lo scopo di alimentarci.

Ovviamente il cibo si mangia anche con gli occhi e se una persona mangia solo per alimentarsi non proverà mai determinati piaceri, la pasticceria si presta moltissimo a presentazioni eleganti, che non sempre in cucina si riescono a ottenere, anche se la cucina ha, oggi, compiuto passi da gigante in questa direzione, se un apprendista dovesse fare prima il pasticcere e poi il cuoco, sarebbe facilitato all’innovazione estetica.

La capacità di cucinare bene, invece, è innata ed è essenziale la conoscenza della combinazione delle materie prime e delle componenti aromatiche, senza la presunzione di avere inventato nuovi abbinamenti, considerato che nella storia della cucina sono già stati proposti i più disparati accostamenti, tanto è vero che salato e dolce venivano consumati insieme, fino a quanto non venne codificato in maniera diversa.

Oggi abbiamo fatto passi da gigante nel campo scientifico e questo influisce, in maniera rilevante, nel campo alimentare, sia in cucina che in pasticceria, proprio per questo ritengo opportuno evidenziare, considerata la rapidità con cui si acquisiscono nuove scoperte, che ciò che è provato e certo oggi potrà essere smentito in futuro e ciò condizionerà sempre più la nostra alimentazione, basta pensare che alcuni additivi che erano stati banditi trenta anni fa, oggi vengono utilizzati in campo medico.

L’alimentazione è la prima medicina che l’uomo prende, appena nato, e se viene nutrito nel rispetto degli schemi e delle quantità adeguate, potrà vivere meglio in futuro.

CS: Negli ultimi anni si nota una tendenza, del settore alimentare, a proposte “omologate” e prive di identità ben precise, quasi ad appiattire il livello qualitativo, secondo te anche questo aspetto è legato al fenomeno della globalizzazione?
IM: Ho pensato molto a questa realtà e, se si analizzano gli effetti dell’ultima crisi che ha colpito l’economia, quasi tutte le aziende che hanno perso mercato hanno cercato di inserirsi in nuovi settori – per rimanere nell’ambito alimentare, molte aziende specializzate nel ramo della pasticceria si sono indirizzate verso la cioccolateria, la confettura, i canditi o la gelateria -, creando nuove nicchie di mercato, probabilmente non guadagnando ma invadendo reciprocamente settori che erano storicamente rappresentati da altri marchi. Questo, naturalmente, non ha permesso la specializzazione che è frutto dell’esperienza e si e ripercosso anche su chi utilizza e trasforma i prodotti di base, generando un grande assortimento ma livellando verso il basso la qualità dell’offerta.

Viviamo un’epoca in cui non ha più senso la figura del tuttologo, vista la necessità di grande specializzazione in un mondo così complesso in cui non può trovare spazio la mancata conoscenza, in ogni settore, e fa specie leggere affermazioni che sono frutto di generalismo e di superficialità. Un classico esempio è l’essermi imbattuto in un articolo che attribuiva la paternità del cornetto alla pasticceria francese, confondendo il croissant, prodotto completamente diverso, dall’italianissimo, anzi per la precisione romano cornetto, e questa è la dimostrazione che non ci si può fermare all’apparenza di una forma simile, per identificare l’origine di un prodotto, ma bisogna conoscerlo in ogni suo aspetto.

CS: Quanto influisce l’origine geografica nel gusto di un dolce?
IM: L’esempio che ti faccio, visto che sei calabrese, è legato ai dolci calabresi e siciliani, che sono prodotti che devono tenere conto delle condizioni climatiche e, per questo, hanno bisogno di una maggiore quantità di zucchero per evitare la formazione di un’elevata carica batterica.
Questo condiziona sia i prodotti che la capacitò di percepirne il gusto da parte di chi li consuma abitualmente, per questo quando un francese assaggia un dolce meridionale lo trova eccessivamente zuccherato, a differenza di un consumatore marocchino, algerino o turco, che lo troverà squisito.

CS: Tu ami narrare, realizzare e, sicuramente gustare i dolci. Qual è il tuo dolce preferito e quale racconti con più piacere?
IM: Ci sono due dolci che amo particolarmente, nel senso che quando li mangio non mi fermerei più, uno è il panettone e l’altro è la millesfoglie e ovviamente devono essere, entrambi, di una qualità straordinaria.
Il dolce che mi piace raccontare è un dolce a base di cioccolato, perché la struttura del cioccolato induce a far sognare, non c’è alimento che possa raggiungere ed avere successo, quanto il cioccolato.

CS: Qual è, invece, il tuo piatto preferito di cui parli con particolare piacere?
IM: Sono due piatti semplicissimi, entrambi legati alla mia infanzia, il primo è il minestrone di verdure e l’altro è lo spiedo bresciano.
Sono due piatti che mia mamma cucinava normalmente e ovviamente c’era la capacità di cucinarli perchè mia madre è stata ristoratrice, e dentro non c’era soltanto la bontà ma anche il suo amore.

CS: Considerati i piatti ed i dolci preferiti, è corretto affermare che il cibo non nutre soltanto il corpo ma anche i nostri ricordi?
IM: Certamente, il cibo è un nutrimento universale e, come tutto ciò che svolge una funzione, va ben dosato e non bisogna eccederne e considerare che l’unico cibo che fa male è quello che è consumato in eccesso.
Come tutto, del resto, anche l’antibiotico (se ben dosato) fa guarire l’ammalato ma se consumato in eccesso provoca danni.

CS: Qual è il tuo punto di vista sulla comunicazione, nelle sue “nuove mille forme”, considerata la tua presenza sui social e sui mass media?
IM: La comunicazione serve ed è sempre servita, oggi è utilizzata per comunicare chi sei e cosa vorresti essere e nel nostro settore, se affermi di sapere produrre degli ottimi dolci ma il pubblico li boccia, ecco che risulta più evidente che le affermazioni non corrispondono alla realtà.

In alcuni ambiti è utilizzata per vincere le proprie timidezze, al punto che mi è capitato di vedere coppie che parlano, lungamente, sedute al tavolino e, solo dopo essersi salutate ed allontanate, riescono a svelare i propri sentimenti attraverso una telefonata. Devo ammettere che, anche in questo caso, l’abuso crea delle vere e proprie dipendenze che personalmente mi piace definire: “il trionfo degli indecisi” o le “amicizie per sentirsi sempre soli”.

CS: Chiudo chiedendoti cosa cambieresti nel mondo della pasticceria italiana e quale rilevanza le auspicheresti nel panorama economico Nazionale.
IM: Alla pasticceria italiana manca un vero profilo professionale, un piano di studi definito ed una vera e propria laurea, quella figura che in Francia si chiama MOF e che è presente anche in Svizzera ed in Spagna ed io mi auguro che anche in Italia vengano “elevate le conoscenze”, si codifichi e si sviluppi l’apprendistato, e che ci si ponga sul mercato in maniera propositiva e non lo si subisca passivamente, questo vorrebbe dire portare ricchezza al Paese, ed oggi ce ne sarebbe un estremo bisogno.

 

Fausto Morabito

 

 

Fotografie di Fausto Morabito

 

Share