A scuola per passione: Vittorio Santoro

Durante la premiazione dei contest Uniqua, in cui protagoniste sono state le farine del Molino Dallagiovanna, abbiamo intervistato il direttore di Castalimenti Vittorio Santoro.

Un contest è sempre un’occasione speciale. Quando si tiene in un monumento della cucina, lo è doppiamente. Se si aggiunge poi un’intervista a un’istituzione della nostra realtà gastronomica, l’occasione è davvero unica. È con questo spirito che nasce l’intervista a Vittorio Santoro, direttore e co-fondatore (insieme al Maestro Iginio Massari) di una delle istituzioni della cucina italiana, quella Castalimenti che, dal 1996, si occupa di formare le nostre eccellenze in ambito culinario. Santoro ci ha regalato una chiacchierata durante la premiazione dei contest Uniqua organizzati da Cucina Semplicemente (Uniqua Verde e Tutti i colori di Expo per Uniqua) tenutasi proprio nella sede di Castalimenti. Chiacchierata che è spaziata dall’azienda protagonista del contest, Molino Dallagiovanna, alla storia di Castalimenti, dalla comunicazione agli obbiettivi della scuola. Ma che è partita proprio dal contest.

CS: Che valore hanno manifestazioni di questo genere nella promozione della cucina e nella scoperta di nuovi talenti?
VS: Io penso che la cultura alimentare debba essere promossa in tutti i momenti in cui il cibo viene proposto e attraverso chiunque ne parli nel modo giusto, perché ci sono anche quelli che non ne parlano nel modo giusto…per carità: l’importante è parlarne e farlo quanto più spesso possibile. Se alcune cose vengono dette, ripetute e ripetute alla fine si crea una base, si creano delle fondamenta. Ecco perché devono esserci questi contest. Tutti i momenti sono buoni per parlare di cibo.

CS: Le farine protagoniste del contest di oggi sono targate Molino Dallagiovanna …
VS: Molino Dallagiovanna da parecchi anni è con noi, evidentemente si è creato un feeling importante: come noi perseguiamo l’eccellenza e la qualità, abbiamo percepito, e lo vediamo anche attraverso il prodotto, questo da quell’azienda. Non posso quindi nient’altro che parlare bene del prodotto, ma perché dietro c’è l’azienda. Come in tutte le cose ci sono le persone, e, alla fine, conoscendo le persone che operano in questo mulino, le posso confermare che si tratta di un’azienda d’eccellenza.

CS: Lei parlava del fatto che non sempre si parla del cibo in maniera corretta. Oggi la cucina è un contenuto di grandissima diffusione mediatica (televisione, web…): spesso ne passa solo un’immagine “stellata” (grandi chef, ipercreatività) che non è molto “realistica” ed è lontana dalla tradizione sia delle famiglie che della nostra ristorazione “del territorio”. Lei cosa ne pensa?
VS: Si deve partire dal presupposto che il cibo deve essere bello, buono e che faccia bene. Di fondo, se ci sono questi tre fondamenti, tutto può essere. La tradizione è giusta, non per niente è diventata tradizione, ma l’evoluzione della tradizione ci deve essere perché il cibo “corre” come qualsiasi altra realtà. Anche il cibo evolve. Poi c’è il bello, il buono e anche il cattivo. Questo è il mondo, no? La comunicazione che viene fatta è giusta, perché comporta il sensibilizzare la gente comunque, più comunicazione c’è meglio è. Naturalmente siamo noi, poi, che dovremmo essere bravi a recepire. La cultura si forma attraverso il tempo: di cibo si è sempre parlato, ma se si inizia a parlarne in modo continuo e “globale”, alla fine anche il mondo del cibo evolverà. Parlando proprio del mio campo (la formazione) quello che, almeno io, personalmente, percepisco, è che c’è tanta comunicazione che fa bene ma non si percepisce veramente cosa c’è dietro, soprattutto il mestiere. Noi siamo nella formazione soprattutto nell’ottica di costruire coloro che operano nel cibo, quindi insegnando l’impegno, il rigore, la costanza (e questo vale per qualsiasi mestiere). Questi aspetti non si percepiscono veramente.

CS: Questo approccio non rischia di portare nel mondo della cucina persone che forse non sono pronte o che non hanno capito l’impegno che ci vuole?
VS: Sì, può esserci anche questo. Poi c’è il sogno, c’è un obbiettivo da raggiungere. Ma bisogna essere consapevoli del fatto che se ci si appoggia a questo sogno, a questo obbiettivo, dietro deve esserci la rinuncia a un altro obbiettivo (sto pensando ad esempio ai vari universitari che hanno fatto un percorso di studio e poi sono ritornati al cibo, al mestiere, per fare il cuoco, il pasticcere eccetera). Il nostro obbligo/dovere è anche quello di comunicare questa realtà, come formatori dobbiamo spiegare questi aspetti: per raggiungere i propri sogni c’è da fare un percorso molto importante e faticoso, la famosa gavetta. C’è un abisso, certe volte, di mezzo, e questo abisso bisogna percorrerlo. Il bello è che quando sarà stato attraversato, questo abisso, uno avrà il piacere di aver raggiunto l’obbiettivo; che poi l’obbiettivo non si raggiunge mai perché si guarda sempre avanti, ma la cosa più bella saranno l’impegno, il rigore che si mettono in gioco. È quello che noi cerchiamo: se quell’impegno e quel rigore diventano il nostro piacere quotidiano si raggiungono tutti gli obbiettivi che si vogliono. Ma è quella la base. È faticoso inizialmente: se io voglio diventare il “Cracco della situazione”, voglio diventare il ”tre stelle”, mi renderò conto che c’è da lavorare. Dobbiamo trasmettere questo ai ragazzi, a quelli che vogliono fare questo mestiere: il piacere del fare è fatto di impegno, rigore e costanza.

A scuola per passione: Vittorio Santoro

Vittorio Santoro durante l’inaugurazione delle nuove aule interattive

CS: Parlando nello specifico della vostra attività: Castalimenti nasce nel 1996 ma si origina dall’Accademia dei Maestri Pasticceri (1993). Quali erano gli obbiettivi e come mai ritenevate necessario costruire questo tipo di contesti di formazione?
VS: Diciamo che, da parte mia e da parte del mio socio, il Maestro Massari, dopo la nascita dell’Accademia dei Maestri Pasticceri si sentiva l’esigenza di “elevare” ulteriormente, perché anche l’Accademia dei Maestri Pasticceri era nata col presupposto di elevare la professionalità di coloro che lavoravano in quel momento nella pasticceria. Il tutto nasceva dalla curiosità, dal desiderio di migliorarli o di migliorarsi personalmente (penso che anche per Massari valesse quello). Andando in giro, facendo paragoni anche con i benedetti “cugini” francesi, si notava che là era tutto più avanti, la professionalità era diversa. Tuttora è così. In Italia c’è questo paradosso: abbiamo il meglio di tutto ma nello stesso tempo non riusciamo a essere “ambasciatori”, maestri di questi nostri grandi patrimoni, del cibo, del territorio, della cultura che ci sta dietro. La professionalità non è ancora al massimo, anzi, c’è ancora tanto da fare, e l’intento della scuola è proprio questo: far crescere la professionalità. Inizialmente ci volevamo rivolgere a coloro che già operavano, quindi concentrarci sulle specializzazioni del mondo della pasticceria; però poi abbiamo voluto allargare gli orizzonti al cibo in generale. Noi li chiamiamo i “mestieri del gusto”. Quindi abbiamo aggiunto anche la formazione di base. Comunque c’eravamo accorti che anche i professionisti non avevano le basi fondamentali: ci si è sempre formati a bottega, in modo artigianale, in Italia. Per carità, è stato un bene, ma limitarsi a questo non rappresenta la completezza del mestiere.

CS: Massari, così come altre figure che facevano parte della prima “tornata”, aveva anche un’esperienza di tipo industriale. Questo contribuiva a dare un approccio più tecnico, più scientifico, togliendo quella patina artigianale alla cucina?
VS: Sì. Io penso che sia sempre stato così. La divisione tra artigiano e industria ci sarà sempre, piuttosto che tra le aziende che fanno grandi quantità e le piccole produzioni. È necessario un dialogo fra di loro, assolutamente: uno aiuta l’altro. È chiaro che, quanto più sistema si fa, tanto meglio è: le informazioni dell’uno valgono per l’altro, le informazioni dell’altro valgono per l’uno. Alla fine, se si riuscisse a dialogare costantemente, certamente ne gioverebbero tutti quanti.

CS: È un po’ la forza della Francia il fatto di riuscire a fare sistema…
VS: Sì, su questo non c’è dubbio. Il loro modo di fare è questo da qualche secolo, ed evidentemente li ha aiutati. Diciamo sempre che noi italiani siamo un popolo individualista e quindi facciamo fatica in quel senso. Ma se veramente iniziassimo a fare delle cose per il bene di tutti certamente non saremmo secondi a nessuno. E comunque in alcuni casi non siamo secondi a nessuno!

CS: Parlando proprio di industria, Veronelli diceva: “disprezzo e odio le industrie che – determinate alla costituzione del solo profitto – si sono appropriate di quell’impossibile, per loro, denominazione”. In parte è la posizione di alcuni anche attualmente: Petrini, slow food…Lei che cosa ne pensa?
VS: Parto dal presupposto che siamo sei, sette miliardi al mondo, e in espansione ancora ulteriore. Il cibo, mi sembra di capire, non basta per tutti (probabilmente ce n’è per tutti ma non basta per tutti per molte ragioni che non staremo adesso a trattare) ed è chiaro che nel fare grandi produzioni si cerca di “accorciare le strade”. Io sono d’accordo, ovviamente, con coloro che sostengono che bisogna essere eticamente corretti: bisogna aumentare il prodotto per dare da mangiare a tutti e nello stesso tempo bisogna salvaguardare la salute e la salubrità dei prodotti. La verità sta nel mezzo, come sempre. Non si può parlare soltanto di cibo a kilometro zero, o meglio, si può parlare di cibo a kilometro zero ma dipende anche da che punto di vista si guarda, questo kilometro zero. Si tratta di sfaccettature diverse. Tante volte si è contrari a qualcosa solo perché si parte da due presupposti diversi, si parla della stessa cosa ma si parte da due visioni diverse e quindi non è possibile essere d’accordo. Ma magari in realtà si è sulla stessa linea d’onda.

CS: È molto italiana questa cosa dello “schieramento”, dai Guelfi ai Ghibellini in poi. Anche con l’Expo si era partiti con due schieramenti opposti, uno entusiastico e uno ipercritico. Volendo fare un bilancio, chi ha avuto ragione?
VS: Non saprei rispondere, anche se la mia posizione è positiva. Tornando al discorso che facevo prima: comunicazione, più se ne fa, meglio è. Quanto più si sensibilizza, meglio è. Poi ci saranno, degli errori, degli sbagli, ma l’aspetto globale, l’esperienza di uno che arriva a Milano, ha un valore: oltre 130 nazioni da poter vivere, visitare (seppure in modo estemporaneo) in un contesto del genere, è un’esperienza. E in merito a quest’esperienza, si parla di cibo, di cibo di tutto il mondo. Expo dà anche un segnale positivo per il numeri che si stanno facendo. Se poi siano stati sufficienti ad aver coperto la spesa, se il break even sia stato raggiunto, non so. Ma l’importante è aver fatto parlare dell’Italia, dei prodotti italiani, e di aver messo al centro dell’attenzione l’Italia stessa. Io penso che sia stato importante avere l’Expo in Italia, perché la gente ha guardato a noi.

CS: In questo senso quali sono gli obbiettivi di Castalimenti, per il futuro?
VS: Come tutte le aziende c’è l’obbiettivo di ingrandirsi sempre, perché un’azienda deve crescere sempre, è intrinseco al suo “fare”. Mi sto appassionando a quest’intervista proprio perché parla di Castalimenti, di com’è nata e di quali sono i suoi obbiettivi. Noi siamo un’azienda, seppure io inizialmente, a quarant’anni, mi sia “improvvisato” (e non si dovrebbe fare, è quello che noi predichiamo!) formatore, però con tutta l’intenzione di far le cose bene. Il fervore iniziale cresce sempre più perché vediamo i risultati. Andiamo avanti per predicare la professionalità dei mestieri di cui ci occupiamo, per far sì che questi mestieri siano amati, per rendere appassionati quelli che ci operano. Perché, se si ha passione (anche se qualcuno dice che la passione dura poco) se si ama, se si ha il piacere di fare questo lavoro, si fa nel migliore dei modi e si raggiungono tutti gli obbiettivi possibili. Quindi l’obbiettivo della scuola resta il formare persone che amino questo mestiere e che si prefiggano di crescere e migliorare sempre. L’obbiettivo è quello di crescere sempre di più. Poi ho anche un sogno nel cassetto, ma glielo dico alla prossima intervista!

CS: C’è una coincidenza che mi ha colpito sulla nascita di Castalimenti: il primo corso di Castalimenti parla di 27 gennaio 1997. Quel giorno l’Italia vince a Lione ai mondiali di pasticceria, tra l’altro guidata da Massari. Questo era un buon auspicio!
VS: Intanto le do una notizia: il 27 gennaio è anche il mio compleanno! Allora ci fu il primo corso, loro si allenarono qua…fu un bel periodo! Io non li potei seguire perché, naturalmente, la scuola era appena aperta e necessitava di essere seguita “in diretta”. Comunque, fu davvero un buon auspicio: in questi ultimi diciotto anni circa, dopo quella vittoria (al di là di tanti altri premi) abbiamo vinto quattordici titoli mondiali nell’ambito dei “mestieri del gusto”, quattordici titoli mondiali di quelli che hanno un valore, che pesano.

CS: Cast sta per Arte, Scienza e Tecnologia degli Alimenti: in che modo cercate di comunicare questi aspetti?
VS: Nell’essenza della didattica, nell’essenza del nostro “fare”, nel modo in cui si muove la scuola. La conoscenza è fatta di questo, di questi concetti, che, come in tutte le attività, sono in continua evoluzione. L’esperienza sul campo è quella che ci aiuta a migliorare. Una grande prerogativa della scuola è quella di aver aggregato conoscenze e competenze importanti di tutti i grandi personaggi che ci studiano e che quotidianamente sono “sul pezzo”. È qui che interviene il sistema che le dicevo: di grandi aziende come Molino Dallagiovanna, di grandi istituzioni come le università, di tutti coloro che studiano e cooperano in questo campo, di grandi professionisti che operano tutti i giorni, che operano nell’industria, che lavorano come artigiani, degli stessi allievi che partecipano ai nostri corsi e che hanno delle esperienze che portano qui all’interno. Quando il docente fa la lezione dà tanto ma riceve anche tanto e tutto questo, fortunatamente, nella scuola si percepisce: è un continuo ribollire, facendo un paragone culinario! È mettendo tutto assieme che esce un buon prodotto.

 

Anna Giunchi

 

Fotografie di Fausto Morabito

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