Zuccheri? No grazie, se possibile neanche nel vino!

Lo sapete che proprio lo zucchero, sia di canna sia di barbabietola, è uno degli ingredienti fondamentali per il processo di vinificazione dei vini che rifermentano in bottiglia?

In un articolo del 2014 già scrissi del Franciacorta e del suo metodo di produzione, esemplificativo per me di questa tipologia di vini. Oggi lo riprendo, in parte, per spiegare il ruolo di questo composto chimico organico nel processo di vinificazione e per arrivare a dirvi che… se ne può fare a meno! Leggete perché.

Step by step…

Parto dal principio e tento di essere il più sintetica e chiara possibile. I grappoli di uva, una volta vendemmiati, vengono trasportati in cantina, in piccole cassette per essere pressati delicatamente e ottenere così il mosto fiore che serve per creare le basi dei vini.

Solouva, il Franciacorta senza saccarosio

Dopo una prima fermentazione in botti, di acciaio e talvolta legno, queste vengono unite per creare la cuvée, cioè l’assemblaggio finale del vino che sarà poi imbottigliato – in gergo tecnico l’operazione si chiama tiraggio – e al quale è aggiunto uno sciroppo di zucchero e lieviti per dare il via alla seconda fermentazione in bottiglia durante la quale si sviluppa l’anidride carbonica: le bollicine.

Le bottiglie sigillate con tappo metallico sono poi accatastate in posizione orizzontale nelle cantine, dove rimangono per molto tempo. Terminata la seconda fermentazione, che si chiama presa di spuma, il vino raggiunge il suo particolare profilo sensoriale, arricchendo la propria complessità aromatica.

Al termine di questo lungo periodo le bottiglie sono poste su appositi cavalletti – pupitres – oppure in cestoni chiamati giropallet. Attraverso il procedimento del remuage le spoglie dei lieviti scivolano nel collo della bottiglia. Quest’ultimo viene ghiacciato con una soluzione refrigerante che porta alla formazione di un tappo di ghiaccio contenente i residui della fermentazione che possono essere così eliminati attraverso la sboccatura.

Infine il rabbocco dove si introduce solo una piccola quantità di vino nel caso dei vini non dosati, mentre per gli altri si aggiunge lo sciroppo di dosaggio composto da vino base e zucchero in quantità tale da determinare la tipologia di gusto: Dosaggio zero, Extra Brut, Brut, Extra Dry, Sec o Demi-sec nel caso dei Franciacorta. A questo punto le bottiglie sono chiuse con il classico tappo a fungo, ancorato con la tipica gabbietta metallica.

Questo, in soldoni, il metodo di produzione degli spumanti fatti con il metodo tradizionale e come si può leggere lo zucchero, inteso come saccarosio, è utilizzato in diverse fasi, quella della seconda rifermentazione e nella dosatura finale per i vini non dosaggio zero.

Deve essere chiaro che senza lo zucchero non sarebbe possibile produrre bollicine ma… perché invece di utilizzare il saccarosio raffinato il quale, anche nella versione più grezza, è un composto chimico che subisce diverse trasformazioni non troppo salutari, non si utilizza semplicemente il mosto zuccherino di cui sono ricchi in modo naturale gli acini stessi?

Tutto questo è possibile e qualcuno lo fa: Solouva

Dal 2008, in Franciacorta, patria italiana per antonomasia del metodo classico (nonché casa mia), alcune aziende hanno iniziato a lavorare, in vigneto ed in cantina, proprio con l’obiettivo di ottenere vini realizzati in tutte le fasi di vinificazione esclusivamente con lo zucchero auto-prodotto nel rispetto dell’integrità del frutto e della valorizzazione del territorio. Ecco cosa si fa nel processo “senza zuccheri esogeni” (estranei) o più semplicemente processo “solouva”.

La prima cosa da fare ovviamente è raccogliere le uve ma, contrariamente a quello che nella maggioranza della spumantistica accade, i grappoli vengono raccolti fenologicamente maturi. Le uve devono essere ricche di zuccheri e devono avere un giusto livello di acidità totale. In questa fase di maturazione i polifenoli contenuti nelle uve inoltre raggiungono la loro massima potenzialità garantendo ricchezza del gusto ed aromaticità.

Dopo la raccolta i grappoli sono pressati ma non tutto il mosto ottenuto finisce nelle vasche per la fermentazione alcolica, una parte di esso viene conservato a freddo affinché non fermenti per essere poi utilizzato a primavera, nel periodo dell’imbottigliamento.

È proprio in questa fase che il saccarosio viene sostituito dal “nostro” zucchero d’uva (mosto ricco di zucchero) che è inserito nella bottiglia insieme ai lieviti per essere trasformato in alcool e anidride carbonica.

Dopo il periodo di affinamento, così come nel metodo tradizionale, le bottiglie sono sboccate e il vino reso limpido. Prima della vestizione e della commercializzazione l’ultima cosa da fare è il rabbocco: si aggiunge solo vino per ripristinare il livello se si tratta di un non dosato oppure si aggiunge uno sciroppo di mosto auto-prodotto se si vogliono ottenere vini con differenti livelli di dolcezza.

Il risultato? Una bottiglia che contiene “solouva”. Le bottiglie (di Franciacorta ma non solo) realizzate con questo processo, dal 2014, hanno ottenuto una vera e propria certificazione che garantisce al consumatore di bere un vino “senza zuccheri esogeni”.

Arianna Vianelli
Terra Uomo Cielo
Una franciacortina in cucina

Share